giovedì 16 settembre 2010

Call of Cthulhu, Mel e Seamus!


1926
Un altro giorno seduta in questa scrivania ad aspettare di andare a casa alle cinque. Almeno oggi mi è andata meglio del solito, il capo è uscito prima per andare a vedere dei reperti per una futura mostra, secondo me è andato a casa prima e basta.
Basta lamentarsi Mel! Prendi la tua borsa e vai a casa…
Ma mentre esco dal museo un’ombra sembra seguirmi, non mi sento per niente sicura e comincio a camminare più velocemente senza guardarmi indietro. Voglio solo arrivare alla strada dove ci sarà qualcuno, ma anche i passi di chi mi sta seguendo diventano più veloci. Comincio a correre e arrivata alla strada non sento più nulla. Mi giro e non vedo nessun’ombra, eppure sono sicura che qualcuno mi stesse seguendo.
Il giorno dopo arrivo al lavoro e ritirando la posta vedo che c’è un pacco per me, l’indirizzo è scritto a mano. La apro con molta cautela, aspettando che il direttore non ci sia. Rimango allibita quando vedo che il pacco contiene dei cioccolatini e una rosa rossa appoggiata in mezzo al vassoio. Peccato che a me il cioccolato al latte faccia schifo!
La sera stessa, mentre sto finendo le ultime cose, sento bussare alla finestra del mio ufficio. Un uomo vestito di bianco di carnagione scura mi sta guardando dalla finestra chiedendomi di aprire.
Mi dice che è stato lui a mandarmi i cioccolatini e che mi vuole solo parlare, se solo lo faccio entrare. Apro la finestra e cominciamo a parlare lì. Mi dice che è alla ricerca di un oggetto, un reperto antico proveniente dall’Egitto. E’ un cofanetto a forma ottagonale abbastanza lungo di legno con delle incisioni sopra. Mi chiede solo di avvisarlo nel momento in cui mi arrivasse sotto gli occhi uno di questi cofanetti, senza nessun obbligo. Sarò io a decidere il giorno in cui ne vedrò uno…
Poi lo strano uomo si allontana.
Da quel giorno io ricevo ogni anno un pacco di cioccolatini al latte con una rosa nel mezzo… il cioccolato al latte continua ancora oggi a farmi schifo!

1929
Sono la direttrice del museo. Oggi è una bella giornata non fosse per quella stordita della mia segretaria che non sa fare il suo lavoro, io ero molto efficiente quando ero al suo posto; la odio!
Mentre sto lavorando suona il telefono ed è Seamus che mi chiede che cosa faccio quella sera. E’ strana questa cosa perché non mi ha mai chiesto di uscire e sicuramente non mi sta corteggiando; probabilmente ha solo bisogno di qualcuno. Accetto la sua offerta e intanto esco un po’ prima per comprarmi un vestito nuovo.
La sera passa a prendermi con la sua macchina e mi faccio spiegare tutto. Stiamo andando in un locale frequentato normalmente dalla mala di Boston perché sta indagando sulla morte di un paio di prostitute e di un suo “vecchio amico” che ha trovato morto in mezzo ad un fiumiciattolo, apparentemente affogato ma realmente aveva un pezzo di legno strano conficcato nel collo.
Non ho chiesto a Seamus perché il pezzo di legno conficcato nel collo del morto ce l’avesse lui, meglio non chiedere certe cose ad un fotografo di un giornale.
Guardando meglio il pezzo di legno noto che è come il cofanetto che tre anni prima mi aveva fatto vedere Shariz, ecco come si chiamava l'uomo che mi aveva parlato la prima volta di queste reliquie egizie. Sono certa che è quello, ma adesso è rotto e l’acqua che l’ha bagnato sta facendo marcire il legno e al contatto con le mani comincia a sgretolarsi. Noto che al suo interno ha qualcosa, chiedo a Seamus se ha una penna e riesco a tirare fuori un bacco da seta, lo apro e al suo interno c’è una specie di farfalla morta. Seamus mi consiglia di sezionarla, lo faremo più tardi al museo…
Arrivati al locale ci accolgono degnamente e ci fanno accomodare in un salottino privato. Dopo un po’ arriva un conoscente di Seamus che ci da informazioni sia sulle prostitute che sul protettore . Ci danno l’indirizzo della ragazza dell’uomo ucciso e noi decidiamo di farci un salto il giorno seguente.
Non dico ancora nulla a Seamus del cofanetto di legno, devo decidere se contattare o meno quell’uomo.
Il giorno seguente ci rechiamo all’appartamento della morosa del morto che ci accoglie chiedendoci dov’è finito quello sfaticato del suo ragazzo. Quando le riveliamo che in realtà è deceduto scoppia in lacrime e ci chiede se la possiamo accompagnare fino all’obitorio per riconoscere il corpo.
Arrivati all’obitorio la scena non cambia molto. Lei si accascia piangente sul corpo del defunto e continua a piangere mentre un poliziotto parla con Seamus.
Mentre eravamo con l’addolorata “vedova” veniamo a scoprire che il suo ragazzo stava facendo da guardaspalle a due “donne di facili costumi” e ci da l’indirizzo del loro appartamento; così dopo essere usciti dall’obitorio ci dirigiamo direttamente a casa di queste due “brave ragazze”.
Bussando alla loro porta non risponde nessuno ma fortunatamente una signora del piano di sopra apre la porta e mi chiede se ho bisogno di qualcosa. Facendole qualche domanda, e dandole un nome falso, veniamo a sapere che son due giorni che non si vedono le prostitute. Ringraziamo la signora e ce ne andiamo, almeno fino a tarda sera quando scopriamo che queste due “sveglissime” ragazze lasciano la chiave di scorta sotto lo zerbino. Entriamo in casa senza fare troppo rumore e non troviamo nessuno, sembra come se siano scappate in fretta e furia lasciando lì ogni cosa… anche 3000 dollari sotto il materasso. Si sa che son tempi duri e il crollo della borsa non aiuta quindi io quei soldi me li prendo, nel caso poi trovassimo le due signorine glieli restituisco. Mettiamola così: li tengo in consegna così non vanno persi e nessuno li ruba!
A questo punto dico a Seamus di Shariz e decidiamo che lo chiamerò al più presto.
Al telefono lui è come sempre gentilissimo e stipuliamo che per il cofanetto mi da 1500 dollari; prima di accettare lo informo delle condizioni del cofanetto ma lui è ancora interessato all’acquisto. Termineremo il nostro affare la sera stessa al suo locale di lusso in centro Boston. Chiamo Seamus e gli chiedo di accompagnarmi, nelle prime non è molto convinto e cerca gentilmente di lasciarmi sola ma alla fine accetta.
Metto il vestito nuovo che avevo usato per uscire con Seamus qualche sera prima. Il locale è veramente elegante, una cameriera mi accoglie e mi fa accomodare in un tavolo. Pochi minuti dopo arrivano dei cioccolatini, ovviamente al latte, e un narghilè che nessuno dei due tocca.
Passati cinque minuti arriva il mio uomo che prende il narghilè e lo fuma con grande soddisfazione. Parliamo del cofanetto e dopo un po’ ci fa spostare al piano di sopra in uno stanzino addobbato riccamente con divanetti e tappeti e su un tavolino una ciotola piena di cioccolatini. Ci invita ad assaggiare un cioccolatino ma ne io ne Seamus siamo inclini ad accettare il suo invito. Dopo un po’ che rimaniamo fermi davanti a quel cioccolato senza avere il coraggio di prenderne uno l’uomo ci dice che ci lascia soli, e ci da il tempo per decidere se assaggiarli o meno. Appena la porta si chiude comincia il solito dibattito tra me e Seamus di chi deve assaggiare e chi guardare gli eventuali effetti; ma mentre ancora stiamo parlando sentiamo dei passi arrivare dal corridoio verso la nostra stanza.
Ad un tratto la porta i apre ed entra un ragazzo alto e nero muscoloso che ci punta una pistola contro intimando di mangiare uno di questi dannatissimi cioccolatini. Con un po’ di agilità e anche fortuna riusciamo a metterlo a tappeto e gli ficchiamo un cioccolatino in bocca. Dopo qualche istante il bodyguard ci guarda e ci parla con un’altra voce, dopo un paio di minuti cambia ancora voce e ci continua a chiedere dove si trova e chi siamo…
Scappiamo ma con noi ci portiamo dietro due di questi ormai stranissimi dolcetti. Ci dirigiamo in ospedale dove sappiamo esserci una ragazza in coma, prostituta di uno della mala di Boston che era scampata per miracolo alle numerose uccisioni dei giorni scorsi. Arrivati in camera della ragazza le mettiamo in bocca il dolce e glielo facciamo inghiottire. Finalmente apre gli occhi, ma prima ci parla in antico egizio e poi con una voce maschile. Almeno siamo riusciti a capire che dentro a quei dolci ci sono racchiuse delle anime che probabilmente sono state risucchiate dalla “farfalla” che si trovava dentro al cofanetto di legno.
Siccome il trattamento ricevuto non c’è piaciuto molto e visto che Seamus ha degli amici nella mala di Boston riusciamo a farci riceve dal boss più influente, don Gaetano. Dopo avergli spiegato la situazione ci dice che non gli garba molto aver perso due ragazze e ci fa capire che da ora in poi se ne occuperà personalmente lui. Poiché non sappiamo se ci vengono a cercare per farci la pelle chiediamo un altro aiuto a don Gaetano che ci fa trasferire per qualche giorno nella sua villa di campagna.
Quattro giorni dopo la mala ha scoperto tutto, dove tengono la gente che hanno rapito e tutto il resto. Comincia così il raid. Il locale lussuoso viene dato alle fiamme facendo credere che sia stato un atto di razzismo e il vecchio locale che usavano come tana viene prima attaccato e tutte le persone all’interno vengono uccise, anche se per un certo momento i mafiosi che guardavano dentro ad una stanza rimanevano come imbambolati e poi uccisi, e poi dato anch’esso alle fiamme. Ma prima di bruciare il vecchio locale abbiamo scoperto che dentro a quella stanza c’era un’enorme farfalla, con delle uova vicino, che ipnotizzava la gente che la guardava.
Il giorno dopo sono tornata al lavoro come se nulla fosse, immagino che non riceverò più dei cioccolatini l’anno prossimo.

lunedì 28 giugno 2010

Addio "Bela Milan"


Fra due giorni dovrò abbandonare, forse per sempre, un appartamento a Milano.
Non che abbia mai vissuto in pianta stabile a Milano, ma la bazzico di tanto in tanto.
Sta di fatto che io adoro Milano, la trovo una delle città più belle in cui sono mai stata. In effetti, IO AMO MILANO! e spero un giorno di poterci tornare in pianta stabile... un giorno, chissà quando... ma tornerò!
Ma il cuore mi piange perché l'appartammento che sto per lasciare è quello che ha visto l'inizio della mia storia d'amore.
So che non avrei scritto nulla di me, di intimo, in questo blog ma il cuore è colmo di tristezza per questa cosa. Le lacrime scendono offuscando lo schermo del computer...
E' dentro a queste quattro mura che sono entrata per la prima volta quasi tre anni fa, forse era il 27 novembre. E' sempre qui che ho aspettato che lui tornasse dal lavoro. Aspettavo che la porta si aprisse per saltargli al collo e abbracciarlo...
Ed è sempre in queste quattro mura che ho dormito abbracciata all'uomo che amo e che spero di amare per sempre...
Amo Milano perché è la città che mi ha riportato in vita e che mi ha fatto amare ancora...
Ti amo Milano, perché sei una città unica che mi è entrata nel cuore così dolcemente.
Ti porterò nel cuore mia bella Milano fino al giorno che tornerò da te, fino a quando potrò di nuovo vedere il tuo Duomo e dire, come sempre, "Ciao Milano..."
Grazie Milano per tutto quello che mi hai dato, per tutte le emozioni che mi hai fatto vivere... per quel primo vero bacio in corso Vittorio Emanuele... per tutto il Grom che ho mangiato davanti la Scala... Grazi per le serate con gli amici e le mattinate di pettegolezzi.
Ti prometto che un giorno tornerò... tu aspettami sempre bella come sei!

domenica 30 maggio 2010

Bisogno di carta...


Ritrascrivo qui il mio sesto racconto del concorso Blusubianco.

Incipit:
Mi dico che è il momento giusto e devo sbrigarmi.
Certo, sarebbe più facile se ci fosse un foglio di carta:
prenderei la penna e le parole non rimarrebbero incastrate in una vena del cervello o nella gola;
scenderebbero fino alla mano, sporcherebbero il foglio, ci resterebbero attaccate
con tutto quello che si portano dietro.
E’ il potere della pagina bianca, credo.
Ti risucchia e ti libera: è la tua possibilità di buttarti da un’altra parte.
“Allora?” mi chiede il mio editore, accendendosi una sigaretta.

Ciò che la mia mente ha creato:
“E’ tutto qui, nella mia testa!” sorrido soddisfatto.
“Me ne faccio poco della tua testa, voglio vedere il file nella mia mail!” mi guarda dai suoi occhiali nuovi fosforescenti.
“Potessi avere qualche foglio di carta…” mi guardo le scarpe aspettando la solita derisione.
“Ma in che secolo credi di vivere? Nel ventunesimo? La carta è estinta da quando è finita la quarta guerra mondiale… Nel tuo chip di storia che ti hanno inserito quando eri un bambino questo piccolo dettaglio non te l’hanno scaricato nel cervello!?!” continua a guardarmi con quel ghigno stampato sulla faccia. Sembra ci trovi gusto a prendersi gioco di me. Ma questa volta ho delle idee fantastiche.
“Avrai il file fra un mese al massimo!” rispondo mentre mi alzo per andarmene.
“Lo sapevo che eri un uomo ragionevole” ormai la sua sigaretta è finita.
Uscendo dall’ufficio mi chiedo perché la carta sia estinta mentre le sigarette ci sono ancora… Mentre penso a queste cose un android mi passa di fianco salutandomi…
Ma io so dove posso trovare della carta, l’ho già comprata altre volte. Bisogna ammettere che però costa cara, l’ultima volta che ne ho comprata un po’ mi si è quasi prosciugato il conto in banca. Ormai la roba che potevo dare dentro per avere un po’ di denaro l’ho data dentro quasi tutta e ormai non mi resta più molto.
Ho pensato anche di rubare ma se poi mi beccano, con tutte quelle telecamere che girano per la città è praticamente impossibile, basta vedere che quasi nessun ladro riesce a portare a termine una rapina.
E poi è sempre un casino ritrascrivere tutto da carta a formato file, impiego più a fare quel lavoro che a scrivere il mio libro. Ma devo ammettere che quello che creo sui fogli non mi sarebbe mai possibile su file, la penna che scorre sulla carta e crea le parole, una dopo l’altra, scorrendo come un fiume in piena su una pagina bianca. Quanto vorrei essere nato due secoli prima, quando ancora la carta era la materia più comune su cui scrivere. E’ proprio vero che certa gente nasce nel secolo sbagliato, io sono uno di loro.
Intanto che penso a tutto questo mi ritrovo davanti al mio fornitore.
Tanto vale entrare e comprare quello di cui ho bisogno.
Appena entro la telecamera posizionata sopra al bancone mi riconosce e mi porge i suoi saluti. Dopo qualche istante esce Igor, il proprietario, che mi sorride coi suoi denti gialli finti e mi dice “Non li avrai mica finiti già tutti?”
“Me ne servono altri!” rispondo mentre faccio finta di essere interessato agli oggetti in esposizione “Almeno altri 100 fogli!”
I suoi occhi si spalancano e balbettando mi dice “Lo sai quanto ti verranno a costare? Non ne fanno più di quella roba, non serve più!”
“Me li puoi far avere o no? Altrimenti li vado a cercare da qualche altra parte!” cerco di mantenere una tono di voce convincente ma Igor lo sa bene che non so dove altro andare.
“Te li prendo subito, intanto tu cerca di calmarti, ok?” e sparisce nel retro.
Dopo qualche minuto esce con in braccio i fogli che ho chiesto, mi si illuminano gli occhi alla vista di tutta quella carta, 100 fogli tutti per me. Igor vedendo la mia reazione scuote la testa “Sei nato nel secolo sbagliato amico, lo sai vero?” mi dice con un accenno di sorriso.
Gli porgo il mio chip bancario e lui mi prosciuga il conto.
“Sei praticamente al verde lo sai? Ci credo che vai in giro vestito come uno straccione! E dire che se non fosse per questa roba che ti ostini a comprare saresti ben ricco… Artisti, non vi capirò mai!”
Lo ringrazio ed esco dal negozio pieno di felicità, la carta l’ho ben nascosta dentro la mia borsa.
Quasi davanti casa mi imbatto su alcuni bambini che giocano tra di loro ma poi ne scorgo uno che è seduto sui gradini da solo. Ha la faccia sporca e sembra anche piuttosto magrolino.
Mi avvicino. Lui mi guarda e mi dice “Mi spiace signore, me ne vado subito. Non volevo sporcarle i gradini.” e si alza.
In automatico gli rispondo “Non è casa mia questa, io abito due case più avanti.” faccio un altro passo poi mi giro verso il bambino e gli dico “Sai scrivere?”
Il bambino mi guarda come se fossi matto, e forse tutti i torti non li ha. A bassa voce mi risponde “No, non so scrivere…” guarda per terra e si vergogna.
“Imparerai! Abbiamo tanto lavoro da fare e tu sei diventato ufficialmente il mio trascrittore!”
Il bambino mi guarda con gli occhi sgranati “Mi pagherà?” la voce è quasi un sussurro.
“Certo, ti pagherò. Avrai vitto e alloggio e imparerai a leggere e scrivere.”
Finalmente il bambino alza la faccia con un enorme sorriso stampato in faccia “Ci sto signore!Comincio subito!”
“A proposito…com’è che ti chiami piccolo?”
“Alphonse ma tutti mi chiamano Al!”
“Ok Al, io mi chiamo William… a mia madre piaceva uno scrittore del 1500 che si chiamava William Shakespeare e allora mi ha chiamato come lui. Ha detto che anch’io posso fare grandi cose come le ha fatte lui!”

lunedì 24 maggio 2010

L'ultima partita


Partecipando al concorso "Blusubianco" ho scritto questo mini-racconto che non è stato scelto tra i finalisti e che quindi sono liberissima di pubblicare qui, sul mio blog. E comunque, anche se l'avessero scelto, lo pubblicavo lo stesso...

Intro dell'autrice:
Caterina dice che aspetta ogni mercoledì a partire dal mercoledì sera. Che è il suo piccolo momento di piacere. Io non mi faccio illusioni, però: dice tante cose. Quando arrivo ha già messo al loro posto i pezzi sulla scacchiera e i cuscini, visto che giochiamo sul pavimento e ogni partita dura un’ora o più.
“Non tocca a me il nero” faccio, come ogni volta.
“Si invece” dice lei, accarezzando i suoi pedoni bianchi come se fossero un piccolo esercito del bene.

Racconto creato dalla mia mente:
Muove il primo pedone, come ogni volta che cominciamo una partita.
“Kate, ricordi qualcosa di nuovo?” le chiedo.
“Caterina, mi chiamo Caterina o così dicono le infermiere” il suo sguardo si incupisce un po’. Io la conosco bene e sono ormai sei mesi che le faccio questa domanda prima di qualunque altra, e sono sei mesi che lei mi ripete la solita frase.
Faccio la mia prima mossa.
“No, non ricordo nulla di nuovo . Perché? Cosa dovrei ricordare?” e mi guarda con la sua aria interrogativa.
“Niente Kate, stavo solo scherzando”, le lacrime mi salgono agli occhi ma riesco a rimandarle indietro.
“Caterina, lo vuoi capire che mi devi chiamare Caterina! Kate non mi piace!” i suoi occhi penetranti facevano capire che era seria. Se sapesse che sei mesi prima con quegl’occhi riusciva a farsi dire quello che voleva da chiunque, se solo ricordasse cosa le è accaduto sei mesi fa. Ma ricorda solo come si gioca a scacchi. E’ strano, l’hanno detto anche i medici, ma non ricorda altro.
Mentre muove il suo cavallo dalle sue labbra escono delle flebili parole “Il cavallo, sì muovo il cavallo!”, i suoi occhi scrutano la scacchiera poi all’improvviso mi fissano e lei mi dice “Come ho fatto a trovarmi in quella parte della città? Angie, come ho fatto?”.
Poso gli occhi sulla scacchiera, adesso è il mio turno, ma non penso alla mossa da fare ma alla risposta da darle “Non lo so! Non ne ho la più pallida idea. Mi hanno chiamata dall’ospedale, dicendomi che continuavi a ripetere il mio nome”, adesso la fisso negli occhi nella speranza di vedere una scintilla, nella speranza che ricordi ciò che le è successo. Ma non succede nulla.
Muovo l’alfiere.
Ora ha di nuovo lo sguardo fisso sui pezzi, quando tocca a lei muovere non esiste nient’altro se non la scacchiera.
Muove, la solita mossa delle altre giocate, comincio ad impararle a memoria.
Non muovo nessun pezzo, tolgo le mani dal tavolo. Voglio che mi guardi, voglio che ricordi qualcosa. Sono stanca, ogni mercoledì vengo qui e ogni mercoledì è sempre la stessa storia, sempre le stesse domande, ma lei non ricorda mai!
La guardo da sopra gli occhiali e lei sembra quasi non notarmi. Alla fine mi guarda, i suoi occhi si illuminano, forse comincia a ricordare. Mi guarda più intensamente e mi dice “Tu dovevi essere con me! Quella sera! Dovevamo andare lì insieme! Ma non c’eri! Perché? Perché non c’eri? Perché mi hai lasciata sola?”.
“Lo so!” le rispondo distogliendo lo sguardo “Prima di andare lì dovevamo vederci al solito bar. Ricordi? Dovevamo incontrarci lì perché quella volta era troppo pericoloso”.
Mi decido a fare la mia mossa.
Ritorna nel suo bel mondo degli scacchi, si immerge ancora nel gioco e dopo avermi mangiato il primo pedone mi domanda “Chi delle due non si è presentata?”
“Tu” le rispondo “Normalmente mi lasciavi un biglietto ma quella volta niente”.
“Tocca ancora a te” mi dice “Dai, fai la tua mossa. Giochiamo la nostra partita di scacchi per farmi tornare la memoria”. Mentre lo dice mi sorride, un sorriso falso che vuole celare le lacrime che ha dentro. Non oso pensare come si sente.
Le mangio a mia volta un pedone.
“Mi hanno trovata nuda, vero?”.
Cerco di guardare la sua faccia, ma l’ha già nascosta. Guarda di nuovo la scacchiera. Odio questa dannata scacchiera.
“Sì” le rispondo “Eri nuda, in mezzo al vicolo. Coperta di sangue.”
Le trema la mano mentre alza un altro pedone.
“Era mio?” chiede con un filo di voce.
“No” non riesco più a guardarla in faccia e anche le mie mani cominciano a tremare “Non sanno di chi sia”.
Mi concentro per non farle notare che anch’io sto per crollare.
Muovo l’alfiere.
Lei sembra sorridere alla mia mossa e in un attimo la sua regina attacca.
“Non era il mio sangue”, lo ripete più per sé stessa. E’ sconvolta.
Sembra non pensare più alla partita e io comincio a perdermi nei miei pensieri. Dopo qualche secondo, o qualche minuto, non so quanto tempo sia passato, Caterina mi richiama alla sua attenzione.
“Ci stai pensando o te la stai prendendo comoda? Su, muovi!”, il sorriso sembra esserle tornato.
Tento di difendermi dalla sua regina con un cavallo.
Andiamo avanti per qualche mano senza parlare, solo il rumore delle pedine risuona nella stanza.
“Dovevo aspettarti”. La sua voce rimbomba come un tuono e quando la guardo le sue guance sono bagnate di lacrime. “Dovevo aspettarti lo so, ma ero troppo curiosa”.
Faccio per risponderle ma lei mi ferma “Tu non sai cosa c’era là. E’ stato orrendo, non credevo che al mondo esistesse così tanta crudeltà… Il sangue, non finiva più di sgorgare… Quegl’occhi… Continuavano a guardarmi!”. Nel suo volto c’è solo paura, la stessa che aveva sei mesi prima. Sta per crollare un’altra volta e non posso lasciare che accada, non ancora!
Mi alzo per andarla ad abbracciare ma so già di essere in ritardo. Lei si è già messa le mani nei capelli, sta piangendo e comincia ad urlare. Tento di abbracciarla e di farla calmare ma lei si agita troppo, è più forte di me e non riesco a tenerla. Adesso è in preda ad una crisi di panico.
Le infermiere entrano nella stanza e la legano al letto, lei continua ad agitarsi e ad urlare. Nei suoi occhi non vedo più l’amica di una vita ma un’estranea.
Esco dalla stanza e mi appoggio con la schiena al muro. Sto piangendo. Piango e non riesco a fermarmi, dalla stanza di Caterina sento ancora le sue urla che mi colpiscono come lame affilate.
E’ l’ultima volta che vengo a trovarla, non ce la faccio più. Non posso sopportare un’altra partita a scacchi, non riesco più a guardarla senza sentirmi in colpa.
Domani mi trasferisco, me ne vado da questa città che mi succhia la vita.
Addio amica mia, ho fallito anche con te, volevo solo riportarti alla sanità mentale ma ho fallito. Spero un giorno mi perdonerai perché io non lo farò mai.

giovedì 15 aprile 2010

Call of Cthulhu, parla Eva


Non si possono lasciare dei racconti, anche se in forma di commento, in un angolo invisibili a molti... Questo post non esce dalla mia mente e non è riportato dalla mia mano ma come si può comprendere nel titolo è la mia amica Eva che parla...
Poche parole servono ad introdurre una persona che non è mia amica, grande amica, solo in Cthulhu ma anche nella vita.

Mel...



Grazie Mel,
grazie per l’offerta di lavoro, per l’ospitalità e soprattutto per la tua amicizia. Le accetto con riconoscenza.
Non è vero però che per la segretaria non ci sono problemi perché Viola cerca lavoro. Io non sono Viola. E’ vero, ho vissuto la vita di Viola e ne conservo i ricordi, ma non sono Viola, non lo sono più. Viola ha finito di esistere quando si è addormentata pensando a un solido con 37 facce. Ha sfidato l’ignoto e il divino pagandone le conseguenze, come era giusto che fosse.
Questo non è il corpo di Viola e non le somiglia minimamente. Vesto in maniera diversa, ho smesso di fare la giornalista, vivo in un'altra casa e sui miei documenti c’è un nome diverso.
Ma soprattutto sono cambiata dentro, molto cambiata. Credo in altre cose, ho altri sogni, combatto per altri ideali. L’incontro con il Dio e con Ara mi ha segnata in maniera indelebile. Metto la mia vita al servizio dei loro intenti, grata della seconda possibilità che mi è stata donata e conscia che alla maggior parte della gente non viene concessa. Passerò il tempo a cercare il modo per fermare Isabel Tower, a documentarmi e a trattare la magia con serietà.
Non chiamarmi più Viola, per favore. E’ una ferita che si riapre ogni volta che sento quel nome. Io non sono Viola, io sono Eva Arson!
Sono nata a Londra 27 anni fa. Mia madre era un’inglese emancipata e colta, mio padre un marinaio di colore che non ho mai conosciuto. Sono cresciuta con mia madre, ereditando il suo modo agguerrito di affrontare qualsiasi cosa, prima di tutto i pregiudizi e l’isolamento. Sono appena giunta a Boston dall’Inghilterra, in cerca di un mondo migliore. E tu sei un’amica di famiglia che ha accettato di ospitarmi. Ecco, questa è la mia storia, o almeno è quella che ho raccontato ieri all’ufficio immigrazione di Boston.
Il resto, sono quisquilie: sono una donna di colore che vive a casa di una donna bianca in un mondo in cui vige l’apartheid, sono femminista, anticonformista e odio il razzismo, studio per laurearmi in inglese in una città in cui gli studenti neri frequentano scuole diverse da quelle dei bianchi e le università sono praticamente appannaggio solo di questi ultimi. So già che tutto ciò sarà fonte di guai, ma in realtà non vedo l’ora di cominciare la mia nuova vita.
Trema Boston, Eva è arrivata!

martedì 23 marzo 2010

Le mie 128battute


Siccome nessuno delle mie battute è stata selezionata e quindi non verrà pubblicata sul libro della Feltrinelli ho deciso di fare un post tutto mio con tutte le battute che ho creato in questi mesi...:
- solo il dolore sa far apprezzare la vita
- guarda un animale negli occhi quando parli, perchè lui ti risponderà coi suoi sguardi.
- attimi di vita in una fotografia, pezzi d'anima incorniciati nella memoria
- sogni infranti contro la realtà, ma continuare a sognare
- seduta nella direzione in cui va il treno vede la sua vita arrivare. Seduta nell'altra direzione vede il suo passato.
- quando tutto il mondo sembra avercela con te e non vuoi più andare avanti pensi mai a chi hai vicino e alle cose che ti danno?
- sentì delle gocce cadergli addosso ma fuori non pioveva ed era a letto. Si girò, di fianco aveva qualcuno che piangeva...
- la bellezza sta nel guardare la neve che cade da dietro una finestra con una tazza di cioccolata calda in mano
- non è detto che scegliere il diavolo sia sempre la scelta sbagliata, specialmente se tale scelta ti offre la libertà
- se il vento potesse far volar via i pensieri dalla mente come le foglie d'autunno sugli alberi
- se la vita è bella allora perchè tutti se ne lamentano?
- è quando non pensi alle cose che ti ricordi di loro.
- quando si ama si vive anche di sola aria... perchè tutti i soldi vengono spesi per i regali!!!!
- un sorriso può dare più felicità di una giornata di sole!
- anche se il mondo finisse domani non me ne preoccuperei perchè fino ad oggi ho avuto il meglio che potessi desiderare.
- la vita può essere triste, difficile, buia e anche solitaria... ma è pur sempre una vita da vivere
- la nebbia sa aprire la mente della gente e far creare mondi nuovi su case vecchie
- casa non è della calce e dei mattoni ma un luogo dove si sta bene con le persone amate.
- nel suo castello in mezzo alla Transilvania il conte Dracula attende la sua ascesa e la supremazia dei vampiri sui mortali
- Tra le strade affollate, con la pioggia che lo bagna, sgambetta alla ricerca di un riparo asciutto
- stanca della giornata passata si arrotola su se stessa
- ogni sera torna ad offuscare vie e finestre del paese facendo credere agli abitanti di essere degli eremiti in una terra popolata
- si muore ogni volta che si apre una ferita nel cuore. Si rinasce ogni volta che si riesce a chiudere una di queste ferite.
- la vendetta è un piatto che va servito freddo... specialmente se due anni dopo la morte!!!
- non si fidava di nessuno, neanche dell'unico che chiamava amico. Così non disse nulla quando la lotta ebbe inizio per colpa sua
- la carta la sommergeva ma lei non aveva più voglia di leggere le storie inventate dagli autori, voleva leggere la sua...
- si guardò intorno, con la speranza di essere sola, di poter ascoltare il rumore del silenzio, ma una folla di rumori la travolse
- riempie il cuore di gioia trovare qualcuno coi tuoi stessi interessi, diventare amici in pochi secondi e passare anni a parlare
- si aspettava di più e sperava in qualcosa di meglio ma alla fine le piacque molto!
- non temiamo di ascoltare qualunque suono ma tremiamo davanti al rumore che può fare il silenzio!
- brillano ai primi raggi di un sole tenue i fili d'erba ricoperti di un manto di rugiada
- non è importante ricordarsi la copertina di un libro ma piuttosto le emozioni e i sogni che ti fa vivere
- continuò a correre su per quelle scale infinite chiedendosi dove portassero. Giunta in cima si voltò e vide che era la sua vita!

martedì 9 marzo 2010

Call of Chtulhu (V° episodio)


Torno a casa, la polizia mi ha di nuovo raccomandato di non andarmene da Boston, e Viola per il momento viene a vivere da me. I vicini di casa non hanno guardato molto bene Viola, in fondo vivo in un quartiere di bianchi...
La mattina appena sveglia suona il telefono, è Neils che mi dice che il Dottor Shultz all'ospedale ha uno shan in testa e non può ricevere alcuna visita perché stanno facendo degli esperimenti sulla sua testa. Decido che vado da Neils; mentre Viola, che ora si fa chiamare Eva, è fuori a cercare un permesso di soggiorno più o meno valido.
Dopo essere stata accolta da Neils gli chiedo di scendere in cantina dove ricordo essercino tre shan catturati la settimana prima. Sono ancora tutti lì. Sò che Shultz tiene il libro dei rituali dietro alle bottiglie di vino buono, peccato io preferisca sempre il Bourbon.
Trovo un rituale dove è possibile trasferire uno shan da una persona ad un'altra sacrificando un essere umano. Bè, il parco è pieno di barboni e ne abbiamo già fati fuori due la scorsa settimana...
Intanto arrivano "Eva" e Seamus che ci dicono che una vecchia barbona sta gironzolando attorno alla casa del Dottore. Neils esce per chiederle cosa vuole e intanto noi gli diciamo di farla entrare e di renderla inoffensiva, magari dandole una botta in testa o altro. Vediamo dalle finestre che vanno verso le tombe dei barboni nel giardino di Shultz; decidiamo di scendere a vedere che succede.
Da lontano vediamo che c'è una persona seduta di fianco ad una delle due tombe e guardando meglio si nota che da una delle due tombe sbuca il "cadavere" della barbona che dovremmo aver ucciso... Con qualche fatica riusciamo a far fuori la persona seduta per terra e a stordire la vecchia ma mentre tentiamo una cosa del genere il tipo seduto riesce, con un rito strano, a rendere ciechi me e Seamus ma io nonostante la cecità riesco a vedere le sagome degli shan.
Mi giro verso la voce dei miei amici e vedo una sagoma di shan e delle schegge di uovo di shan, credo che sia il Dottor Shultz, ma come è arrivato a casa?
Dopo un pò sentiamo suonare il campanello e Shultz va alla porta mentre noi cerchiamo di nascondere e mettere a posto il caos che si è creato in giardino, appena seduti in salotto sentiamo il telefono e Neils che risponde, è un pò adirato e dopo un pò dice al ricevitore: "Sono 45 anni che guardo il signorino Dwait e non mi è mai scappato!", l'ilarità è contagiosa!
In un attimo di calma il signorino Dwait ci fa vedere delle foto che ha "trovato" in ospedale mentre usciva; sono sei fotografie di persone con lo shan in testa e sotto ad ogni immagine c'è scritto: "Casa di cura TOWER". Mi ribolle il sangue al solo pensiero di Isabel Tower.
Ormai è sera e io e Viola torniamo a casa, prima di dormire mi scolo due bicchieri di Bourbon e quindi sogno di morire alcolizzata fra un anno e mezzo, non sò se è peggio la cerosi epatica o morire annegata per colpa di un polpo femmina. Shultz mi dirà in seguito che ha sognato di morire suicida... le realtà cominciano a cambiare, sarà un bene?
La mattina mi sveglio indecisa se continuare a bere o meno con Viola che tenta di dissuadermi. Mi incammino per il museo e all'entrata c'è un poliziotto che va avanti e indietro, non ci vuole tanto per capire che aspetta me. Lo saluto educatamente e vedendo la sua faccia solcata da due spesse occhiaie gli chiedo se vuole una tazza di caffè e lo invito ad accomodarsi sul divano del mio ufficio.
Mi fa delle domande sulla morte della mia precedente assistente chiedendomi chi potrebbe convalidare il mio alibi e alla fine mi dice che se mai cercassi un altro lavoro c'è sua sorella che gestisce una libreria. Sarebbe una menzogna dire che non c'ho fatto un minimo pensierino all'idea di cambiare tutto e magari cominciare una vita normale.
Dopo poco che va via il poliziotto arriva Viola/Eva che dopo aver liberato la sua nuova scrivania dalla roba vecchia si siede tutta soddisfatta. Dopo un pò la vedo andare verso lo scantinato dove teniamo i reperti, la seguo. La vedo analizzare ogni reperto e la scena è davvero esilarante. Le chiedo cosa sta cercando e analizzando due o tre fascicoli le tiro fuori quello che cerca.
E' una campana non più alta di una quarantina trentina di centimetri con dei fori ovali, è di rame, le scritte sono state cancellate dall'acqua probabilmente visto che la campana è stata levigata dalle correnti e arriva dalla baia di Boston; nel talloncino informativo ci sono due scritte, una che dice: "da Samuel Tower; 1919" con una riga sopra e appena sotto c'è scritto: "Mr. Kugan". Tutte e due sono state scritte dal mio vecchio datore di lavoro, Troy Erasmus.
Decidiamo di andare a casa di Shultz e di far suonare la campana a Seamus, è quello meno pazzo di tutti. Al suono della campana ogni liquido presente nella stanza si alza e va a schiantarsi nel soffitto, quando il suono smette ritorna come un onda per terra. Shultz decide di provarla in giardino...
Siccome sul talloncino informativo del museo c'era il nome di Kugan si pensa di fare un salto a casa della figlia, Inga Kugan che pensa io sia un demone. Vanno tutti tranne io, non mi va di avere di nuovo un fucile a due canne puntato sulla mia faccia. Io intanto con la scusa di tornare al lavoro, passo nella libreria della sorella del poliziotto e parliamo per un pò. Poi torno realmente al mio lavoro dove ricevo una chiamata interessante dal senatore.
Intanto a casa di Inga Seamus e il dottore riescono a farsi dare delle utili informazioni riguardo la famiglia Tower e tutti gli essere di quella razza; alla fine sono dei maledettissimi polpi! Invece Viola riesce come sempre a cacciarsi in qualche guaio già che mette piede nel giardino di Inga e lei se ne accorge immediatamente, io ero l'unica che si ricordava di non calpestare l'erba (così disse Inga la prima volta che ci incontrammo).
Un'altra chiamata mi raggiunge dell'avvocato della famiglia Tower che mi comunica che nessun componente della famiglia è mai stato al museo... Brutta puttana di una Isabel, se ti prendo ti ammazzo!!! e non manca molto al nostro prossimo incontro...

lunedì 25 gennaio 2010

Melanie Wilner III°


Il sogno comincia sempre uguale. Sto entrando nella camera da letto di mia nonna, il mio idolo. Ormai non ha più le forze di alzarsi dal letto; è vecchia e malata, il suo fegato sta cedendo per il troppo bere.
Nonostante tutto entrando nella stanza c'è sempre il solito profumo, "Bourbon", un odore che ormai ho imparato ad amare, e non solo l'odore.
Gli ultimi raggi del sole entrano dalla finestra della camera e illuminano le grinzose mani di mia nonna; la guardo in faccia e il suo sorriso è sempre uguale, è l'unica cosa che non è cambiata. Mi avvicino e lei mi prende la mano, il calore della sua mano sembra essere sparito con gli anni, la sua mano è gelida ma non mi stacco da quella presa. I ricordi dell'infanzia tentano di tornarmi alla memoria ma non è questo il momento più opportuno, sono qui per salutare per l'ultima volta la mia amata nonna.
Mi siedo sulla poltrona di fianco al letto e dopo poco mia nonna mi dice:
"Mel, mia adorata Mel. Domani non sarò più qui a vedere il tuo sorriso e devo chiederti delle cose prima di andare. Promettimi che non passerai il portale in quel campo..."
"Nonna ma che dici? Quale portale? In che campo?"
"Non mi credere pazza, anche se molti ne sono convinti. Te lo dico per il tuo bene, per la tua vita. Fra 12 anni, nel 1928, non passare il portale, non essere curiosa per una volta."
"Nonna devo andare a chiamare..."
"NO! Almeno tu devi credermi, devi credere in me altrimenti non crederai neanche in te stessa..."
"Ti credo..."
"Apri la mia scrivania e prendi il diario nero che trovi in fondo al cassetto. Promettimi che non lo aprirai fino al 12 febbraio 1928, il giorno che ti troverai a fare la scelta più importante della tua vita... Promettilo!"
"Lo prometto nonna..."
"Lì dentro ci sono le risposte a tutte le tue domande. C'è la mia vita prima del 1878, ci sei tu! Ma devi attendere altrimenti non crederai a nulla e mi reputerai una pazza...e continua a studiare storia, il Museo ti aspetta!"

Il sogno si ferma quasi sempre qui poi apro gli occhi, pieni di lacrime e sprofondo la testa nel cuscino per non far sentire a nessuno i singhiozzi.
Una volta fuori dal letto mi guardo nello specchio del mio comò, ho gli occhi gonfi e rossi, come tutte le volte che faccio questo sogno, ma le assomiglio in tutto e per tutto.
Oggi siamo al febbraio del 1930.
Mi chiamo Melanie Wilner (Terza)e sono la direttrice del Museo di Boston, mia città natale.
Il 12 febbraio di due anni fa mi è esattamente successo quello che ha predetto mia nonna. In mezzo ad un campo di grano c'era un portale; ho lottato molto contro la mia curiosità di vedere cosa c'era dietro ma la voce di mia nonna mi è rimbombata nella testa. Non ho passato il portale alla fine.
Tornata a casa ho aperto il baule della roba di mia nonna e ho ritrovato quel diario.
Sulla prima pagina c'era scritto: Alla mia nipotina, che porta il mio stesso nome e il mio stesso sangue.
Tutte le mie domande ebbero risposta quel giorno. Per far sì che io credessi a ciò che scrisse mia nonna mi descrisse nei minimi particolari la mia vita nei giorni prima a quel fatidico 12 febbraio, era tutto esatto. Avevo fatto le stesse cose, nei minimi particolari.
Il diario di mia nonna continuava così: ...conosco nei minimi particolari quello che hai fatto Mel, perchè io stessa ho vissuto questa vita! Io mi chiamo Melanie come te perché siamo la stessa persona. L'unica differenza è che io ho passato il portale.
Mi hai chiesto mille volte che cosa ho fatto nella mia vita prima del 1878, è arrivato il momento di risponderti. Nulla, non ho fatto nulla prima del 1878 perchè sono nata il 23 ottobre 1901, come te. Quel portale che ho passato portava indietro nel tempo di 50 anni.
Io sono te e tu sei me, siamo la stessa persona. Siamo uguali in tutto e per tutto, guardati allo specchio, siamo due gocce d'acqua. Adorerai sicuramente il Bourbon come me e ricordati di non comprarlo nel negozio all'angolo, lo allungano con l'acqua...

Dopo quelle poche righe chiusi il diario, presi fiato e tirai fuori una bottiglia di Bourbon. Dannazione, era del negozio all'angolo, sapeva veramente di acqua.
Non riuscivo a crederci, mia nonna ed io... la stessa persona...

Il diario continuava: ... ora Mel sappi che tu sei la "terza" Melanie Wilner della storia. Ma era giusto che prima o poi tutto questo finisse, ho pensato che per il tuo bene la storia dovesse andare avanti e non tornare più indietro. Devi vivere la vita come una persona normale, amare tua nipote e sapere che non è la tua reincarnazione.

Lessi il resto del diario senza sosta, era quasi incredibile, ma non potevo non credere a quello che c'era scritto. Altrimenti non avrei mai creduto ai miti di Cthulhu, non avrei mai creduto di aver visto il portale, non avrei mai creduto a tutta la mia vita.
Ora sto vivendo altre avventure, sto credendo a tutto quello che mi succede attorno, vivo la vita che non ho vissuto per due volte.

Oggi sto portando in grembo una piccola Mel, o un piccolo maschietto, che però sò crescerà in una realtà giusta...
Ringrazio me stessa di aver rotto l'incanto che mi portava indietro nel tempo e se anche il mondo dovesse finire fra due anni, l'avrò vissuta nel modo giusto.

lunedì 18 gennaio 2010

Call of Chtulhu (IV° episodio)


Mi sveglio abbastanza presto e come sempre chiamo Shultz per sapere se anche lui ha sognato la fine del mondo e se ha degli indizi in più per evitarlo. La centralinista mi passa la linea di Schultz e il telefono comincia a suonare ma nessuno risponde...strano io e Shultz ci sentiamo tutti i giorni per aggiornarci. Decido che dopo farò un salto a casa sua a vedere come sta, questa storia mi puzza un pò.
Ma mentre penso a tutto questo un urlo proviene dalla stanza di Ara, la sacerdotessa che ha "preso il posto" di Viola. Entro nella stanza e non c'è più Ara ma una che assomiglia a Viola, e che parla "educatamente" come Viola, è Viola! Almeno per me...
Chiamo Seamus riferendogli tutto e gli dico di venire a casa mia. Una volta arrivato la scena è la stessa, anche lui vede Viola e non più Ara ma è anche vero che quando c'era la sacerdotessa tutti vedevano Viola e non Ara. Quindi, per scoprire come il resto di Boston vede la nostra Viola decidiamo di andare a chiedere dello zucchero ai miei vicini di casa, di meglio non siamo riusciti a trovare. Alla fine riusciamo a capire che solo io e Seamus vediamo di nuovo Viola e che le altre persone vedono il corpo di Ara, una donna di carnagione scura.
Ci spostiamo all'appartamento di Viola dove indossa dei suoi vecchi abiti e intanto trova una candela nera davanti lo specchio del suo comò; la candela è consumata. Decidiamo di oscurare tutte le finestre e le fessure della porta e accendere la candela. Dietro allo specchio sembra materializzarsi un uomo che non sembra molto affabile e, in effetti, la seduta finisce con Viola che spara contro il vetro.
Dopo tutto questo trambusto decidiamo che io vado a lavorare al mio caro Museo e che invece Seamus e Viola vanno a cercare dei documenti falsi per Viola, così potrà circolare per Boston senza problemi.
Arrivata al mio ufficio mi accoglie, come sempre, la mia segretaria di cui non ricordo mai il nome però (Kate, Susan, Sarah). Ultimamente mi guarda sempre peggio lanciandomi frecciatine sul fatto che non sono quasi mai al lavoro e che batto la fiacca. Quindi ogni giorno mi siedo alla mia scrivenia pensando di licenziarla ma non sò chi assumere quando, un giorno, sento "Kate" al telefono che si spaccia per me. Corro fuori e spalanco la porta del mio ufficio, lei mi guarda con gli occhi di un cane bastonato ma non mi commuove minimamente, le intimo di smetterla di prendermi in giro e di trovarmi il numero di telefono dei Tower, non importa quanti siano nell'elenco.
Sono ancora furibonda quando entra molto cautamente e mi porge un fogliettino con dei numeri scritti sopra. Mentre esce le dico di andare nel magazzino a tirare fuori tutto quello che abbiamo della famiglia Tower che voglio allestire una nuova mostra in loro onore; vagamente io ricordo che si tratta di reperti Indiani. Ma, in realtà, non è una mostra quello che ho in mente; devo vedere questa signora Tower, devo capire perchè nel mio sogno un uomo dalla carnagione scura mi tagliava la gola chiedendomi cosa volevo dalla signora Tower.
Il centralino mi passa il primo numero che avevo scritto nel foglio e mi risponde una signora che, fortunatamente, è Isabel Tower, la sorella di colui che ci aveva donato i reperti indiani che teniamo in magazzino. Le chiedo di incontrarci, invento qualunque scusa affinché lei accetti di incontrarmi. Quando metto giù la cornetta un albero del parco del museo sotto la mia finestra prende inspiegabilmente fuoco, mi si stringe il cuore a quella vista, chissà quando deve soffrire quel povero albero.
La sera, dopo il lavoro, mi trovo con Viola e Seamus e tutti facciamo il resoconto della nostra giornata e loro mi raccontano che al catasto hanno trovato che la famiglia Tower è proprietaria di una casa di cura dove tempo addietro c'era stato anche Paul, il nostro famoso Paul; Viola ha un'identità nuova ed è in cerca di un nuovo lavoro, le ho proposto di diventare la mia segretaria, finalmente ho trovato qualcuno.
Nessuno durante la giornata si è più ricordato di Shultz così passiamo da casa sua verso sera, trovando il maggiordomo che ci accoglie dicendoci che Shultz è in ospedale ma che si riprenderà presto. Speriamo tutti che si riprenda, abbiamo bisogno anche di Shultz nel gruppo.
Il giorno dopo decidiamo tutti e tre di incontrare Isabel Tower. Pochi minuti dopo l'ora stabilita per l'incontro una macchina lussuosissima si ferma davanti all'entrata del museo. L'autista scende per aprire la portiera al passeggero quando dalla mia mente affiorano gli stessi lineamenti del viso e la stessa carnagione; è l'uomo che mi ha ucciso! La donna deve essere quindi Isabel, capelli rossi raccolti, un viso dai lineamenti marcati, la morte mi farebbe meno paura. Porta dei vestiti fuori moda, una gonna troppo lunga per i nostri anni; ma guardando meglio sembra che non stia camminando ma bensì strisciando.
Si avvicina con fare arrogante e comprende subito che a nessuno importa realmente della mostra indiana ma riusciamo comunque a convincerla a restare. Il suo servo aspetta fuori dal mio studio mentre noi tentiamo di capire chi è in realtà Isabel Tower.
Quello che ci rivela è devastante. Le parlo del mio sogno e, mano a mano che il mio racconto va avanti, un sorriso le si forma nel suo volto. Mentre chiude gli occhi mi sembra di notare qualcosa di strano, guardo più attentamente e... Oddio! ma che razza di mostro abbiamo davanti, ha le doppie palpebre! Dentro di me voglio fuggire o del bourbon...
Finito il mio racconto lei ci racconta che arriva da un altro "mondo", un mondo sommerso e che sarà lei a causare la fine del mondo terrestre. E' giuliva mentre ci dice che noi non meritiamo di vivere, che noi abbiamo rubato il potere al suo popolo e che quindi dobbiamo soccombere.
Finite queste parole si alza e se ne va congratulandosi ancora con me per la bella, anche se inutile, idea della mostra; chiedendomi se vale ancora la pena lavorare per una popolazione che verrà sterminata da qui a tre anni. Nessuno ha avuto il coraggio di saltarle al collo, nessuno l'ha nemmeno sfiorata. Eppure era lì il nostro nemico, dovevamo solo ucciderla e i miei sogni sarebbero finiti, il mondo sarebbe stato salvo, e invece niente... nessuno ha fatto niente.
Mentre stiamo seduti e sentiamo in lontananza il rumore della macchina di Isabel che scema un urlo proviene da una sala del museo. Corriamo tutti e tre verso quelle grida e troviamo due ragazze sconvolte che guardano per terra. Appena mi volto anch'io posso vedere il corpo sgozzato di "Kate" che giace a terra ormai privo di vita. Viola si defila e intanto chiamo la polizia. Per la seconda volta nel giro di neanche un anno il capo della polizia mi dice che sono sospettata di omicidio, che non posso uscire da Boston.
Ma ora la cosa più importante è trovare un modo per uccidere quella strega di Isabel!
Per la segretaria non ho problemi, Viola cerca lavoro e io sono senza segretaria...