lunedì 18 gennaio 2010

Call of Chtulhu (IV° episodio)


Mi sveglio abbastanza presto e come sempre chiamo Shultz per sapere se anche lui ha sognato la fine del mondo e se ha degli indizi in più per evitarlo. La centralinista mi passa la linea di Schultz e il telefono comincia a suonare ma nessuno risponde...strano io e Shultz ci sentiamo tutti i giorni per aggiornarci. Decido che dopo farò un salto a casa sua a vedere come sta, questa storia mi puzza un pò.
Ma mentre penso a tutto questo un urlo proviene dalla stanza di Ara, la sacerdotessa che ha "preso il posto" di Viola. Entro nella stanza e non c'è più Ara ma una che assomiglia a Viola, e che parla "educatamente" come Viola, è Viola! Almeno per me...
Chiamo Seamus riferendogli tutto e gli dico di venire a casa mia. Una volta arrivato la scena è la stessa, anche lui vede Viola e non più Ara ma è anche vero che quando c'era la sacerdotessa tutti vedevano Viola e non Ara. Quindi, per scoprire come il resto di Boston vede la nostra Viola decidiamo di andare a chiedere dello zucchero ai miei vicini di casa, di meglio non siamo riusciti a trovare. Alla fine riusciamo a capire che solo io e Seamus vediamo di nuovo Viola e che le altre persone vedono il corpo di Ara, una donna di carnagione scura.
Ci spostiamo all'appartamento di Viola dove indossa dei suoi vecchi abiti e intanto trova una candela nera davanti lo specchio del suo comò; la candela è consumata. Decidiamo di oscurare tutte le finestre e le fessure della porta e accendere la candela. Dietro allo specchio sembra materializzarsi un uomo che non sembra molto affabile e, in effetti, la seduta finisce con Viola che spara contro il vetro.
Dopo tutto questo trambusto decidiamo che io vado a lavorare al mio caro Museo e che invece Seamus e Viola vanno a cercare dei documenti falsi per Viola, così potrà circolare per Boston senza problemi.
Arrivata al mio ufficio mi accoglie, come sempre, la mia segretaria di cui non ricordo mai il nome però (Kate, Susan, Sarah). Ultimamente mi guarda sempre peggio lanciandomi frecciatine sul fatto che non sono quasi mai al lavoro e che batto la fiacca. Quindi ogni giorno mi siedo alla mia scrivenia pensando di licenziarla ma non sò chi assumere quando, un giorno, sento "Kate" al telefono che si spaccia per me. Corro fuori e spalanco la porta del mio ufficio, lei mi guarda con gli occhi di un cane bastonato ma non mi commuove minimamente, le intimo di smetterla di prendermi in giro e di trovarmi il numero di telefono dei Tower, non importa quanti siano nell'elenco.
Sono ancora furibonda quando entra molto cautamente e mi porge un fogliettino con dei numeri scritti sopra. Mentre esce le dico di andare nel magazzino a tirare fuori tutto quello che abbiamo della famiglia Tower che voglio allestire una nuova mostra in loro onore; vagamente io ricordo che si tratta di reperti Indiani. Ma, in realtà, non è una mostra quello che ho in mente; devo vedere questa signora Tower, devo capire perchè nel mio sogno un uomo dalla carnagione scura mi tagliava la gola chiedendomi cosa volevo dalla signora Tower.
Il centralino mi passa il primo numero che avevo scritto nel foglio e mi risponde una signora che, fortunatamente, è Isabel Tower, la sorella di colui che ci aveva donato i reperti indiani che teniamo in magazzino. Le chiedo di incontrarci, invento qualunque scusa affinché lei accetti di incontrarmi. Quando metto giù la cornetta un albero del parco del museo sotto la mia finestra prende inspiegabilmente fuoco, mi si stringe il cuore a quella vista, chissà quando deve soffrire quel povero albero.
La sera, dopo il lavoro, mi trovo con Viola e Seamus e tutti facciamo il resoconto della nostra giornata e loro mi raccontano che al catasto hanno trovato che la famiglia Tower è proprietaria di una casa di cura dove tempo addietro c'era stato anche Paul, il nostro famoso Paul; Viola ha un'identità nuova ed è in cerca di un nuovo lavoro, le ho proposto di diventare la mia segretaria, finalmente ho trovato qualcuno.
Nessuno durante la giornata si è più ricordato di Shultz così passiamo da casa sua verso sera, trovando il maggiordomo che ci accoglie dicendoci che Shultz è in ospedale ma che si riprenderà presto. Speriamo tutti che si riprenda, abbiamo bisogno anche di Shultz nel gruppo.
Il giorno dopo decidiamo tutti e tre di incontrare Isabel Tower. Pochi minuti dopo l'ora stabilita per l'incontro una macchina lussuosissima si ferma davanti all'entrata del museo. L'autista scende per aprire la portiera al passeggero quando dalla mia mente affiorano gli stessi lineamenti del viso e la stessa carnagione; è l'uomo che mi ha ucciso! La donna deve essere quindi Isabel, capelli rossi raccolti, un viso dai lineamenti marcati, la morte mi farebbe meno paura. Porta dei vestiti fuori moda, una gonna troppo lunga per i nostri anni; ma guardando meglio sembra che non stia camminando ma bensì strisciando.
Si avvicina con fare arrogante e comprende subito che a nessuno importa realmente della mostra indiana ma riusciamo comunque a convincerla a restare. Il suo servo aspetta fuori dal mio studio mentre noi tentiamo di capire chi è in realtà Isabel Tower.
Quello che ci rivela è devastante. Le parlo del mio sogno e, mano a mano che il mio racconto va avanti, un sorriso le si forma nel suo volto. Mentre chiude gli occhi mi sembra di notare qualcosa di strano, guardo più attentamente e... Oddio! ma che razza di mostro abbiamo davanti, ha le doppie palpebre! Dentro di me voglio fuggire o del bourbon...
Finito il mio racconto lei ci racconta che arriva da un altro "mondo", un mondo sommerso e che sarà lei a causare la fine del mondo terrestre. E' giuliva mentre ci dice che noi non meritiamo di vivere, che noi abbiamo rubato il potere al suo popolo e che quindi dobbiamo soccombere.
Finite queste parole si alza e se ne va congratulandosi ancora con me per la bella, anche se inutile, idea della mostra; chiedendomi se vale ancora la pena lavorare per una popolazione che verrà sterminata da qui a tre anni. Nessuno ha avuto il coraggio di saltarle al collo, nessuno l'ha nemmeno sfiorata. Eppure era lì il nostro nemico, dovevamo solo ucciderla e i miei sogni sarebbero finiti, il mondo sarebbe stato salvo, e invece niente... nessuno ha fatto niente.
Mentre stiamo seduti e sentiamo in lontananza il rumore della macchina di Isabel che scema un urlo proviene da una sala del museo. Corriamo tutti e tre verso quelle grida e troviamo due ragazze sconvolte che guardano per terra. Appena mi volto anch'io posso vedere il corpo sgozzato di "Kate" che giace a terra ormai privo di vita. Viola si defila e intanto chiamo la polizia. Per la seconda volta nel giro di neanche un anno il capo della polizia mi dice che sono sospettata di omicidio, che non posso uscire da Boston.
Ma ora la cosa più importante è trovare un modo per uccidere quella strega di Isabel!
Per la segretaria non ho problemi, Viola cerca lavoro e io sono senza segretaria...

1 commento:

l'Ale ha detto...

Grazie Mel,
grazie per l’offerta di lavoro, per l’ospitalità e soprattutto per la tua amicizia. Le accetto con riconoscenza.
Non è vero però che per la segretaria non ci sono problemi perché Viola cerca lavoro. Io non sono Viola. E’ vero, ho vissuto la vita di Viola e ne conservo i ricordi, ma non sono Viola, non lo sono più. Viola ha finito di esistere quando si è addormentata pensando a un solido con 37 facce. Ha sfidato l’ignoto e il divino pagandone le conseguenze, come era giusto che fosse.
Questo non è il corpo di Viola e non le somiglia minimamente. Vesto in maniera diversa, ho smesso di fare la giornalista, vivo in un'altra casa e sui miei documenti c’è un nome diverso.
Ma soprattutto sono cambiata dentro, molto cambiata. Credo in altre cose, ho altri sogni, combatto per altri ideali. L’incontro con il Dio e con Ara mi ha segnata in maniera indelebile. Metto la mia vita al servizio dei loro intenti, grata della seconda possibilità che mi è stata donata e conscia che alla maggior parte della gente non viene concessa. Passerò il tempo a cercare il modo per fermare Isabel Tower, a documentarmi e a trattare la magia con serietà.
Non chiamarmi più Viola, per favore. E’ una ferita che si riapre ogni volta che sento quel nome. Io non sono Viola, io sono Eva Arson!
Sono nata a Londra 27 anni fa. Mia madre era un’inglese emancipata e colta, mio padre un marinaio di colore che non ho mai conosciuto. Sono cresciuta con mia madre, ereditando il suo modo agguerrito di affrontare qualsiasi cosa, prima di tutto i pregiudizi e l’isolamento. Sono appena giunta a Boston dall’Inghilterra, in cerca di un mondo migliore. E tu sei un’amica di famiglia che ha accettato di ospitarmi. Ecco, questa è la mia storia, o almeno è quella che ho raccontato ieri all’ufficio immigrazione di Boston.
Il resto, sono quisquilie: sono una donna di colore che vive a casa di una donna bianca in un mondo in cui vige l’apartheid, sono femminista, anticonformista e odio il razzismo, studio per laurearmi in inglese in una città in cui gli studenti neri frequentano scuole diverse da quelle dei bianchi e le università sono praticamente appannaggio solo di questi ultimi. So già che tutto ciò sarà fonte di guai, ma in realtà non vedo l’ora di cominciare la mia nuova vita.
Trema Boston, Eva è arrivata!